La sofferenza
D : - Ci sono sofferenze che non si possono risolvere, come per esempio la malattia, oppure la Via descrive la possibilità di cambiare punto di vista sulla malattia ?
R : Certo, ed è la parte essenziale. Per Buddha, ogni sofferenza è legata al fatto di essere nati in questo mondo. Il fatto di nascere implica la decrepitudine, la vecchia, la malattia e la morte. Per non ammalarsi o diventare infermo, per non morire un giorno, bisogna trovare il modo di non nascere. Questo è il punto di vista più radicale dell’insegnamento del Buddha. Si tratta di farla finita con ciò che provoca la nascita, con il desiderio di esistere come individuo. Questo è un aspetto del suo insegnamento ed è soprattutto così che i discepoli del piccolo veicolo, l’Himayana, lo hanno capito. Ma in seguito, l’aspetto più importante è stato quello a cui tu alludevi : cambiare il punto di vista sulla vita. Non si tratta di trovare il nirvana nella non-nascita ma nel non-attaccamento al fatto di essere nato, a tutto ciò che costituisce la nostra individualità. Nel nirvana c’è estinzione dell’avidità, dell’odio, dell’ignoranza e dunque di tutte le sofferenze morali legate a questi bonno. Ma resta comunque una sofferenza oggettiva quale la malattia, il dolore fisico, la vecchiaia, l’infermità. E questo dolore esiste anche per un Buddha. Per esempio, Buddha ha avuto una diarrea di cui è morto. I suoi ultimi momenti sono stati dolorosi ma egli lo considerava normale. Diceva : « Ad ogni modo, ve lo avevo già detto, un giorno bisogna morire, allora, è normale ». Egli soffriva, il corpo era malandato, ma lo accettava. Se non si è troppo attaccati al corpo, alla propria salute allora si può accettare di essere ammalati. Non è strano e non se ne può gioire, ma si può vivere la malattia serenamente senza aggiungere la sofferenza dell’ego alla sofferenza oggettiva del dolore fisico. Si può farne un dramma o prenderla più alla leggera : questo è il distacco. In un kusen, il maestro Deshimatu diceva : lo zen non è sopprimere radicalmente la sofferenza bensì sdrammatizzarla.
D : Nelle Quattro Nobile Verità si dice che la sofferenza dipende principalmente dall’ego, ma che ne è della sofferenza fisica intensa o della sofferenza per un lutto che sono tuttavia assai reali ?
R : Certo, ma è sempre l’ego che soffre, altrimenti c’è semplicemente un dolore. Faccio l’esempio del dolore al ginocchio. Ecco, c’è dolore al ginocchio. Secondo il modo di reagire a questo dolore, esso può trasformarsi in sofferenza. Non si tratta di sopprimere ogni dolore, ma di abbandonare l’attaccamento che fa sì che un dolore possa invaderci completamente e diventare una grande sofferenza.
Se si ha male al ginocchio, ci si può dire : è semplicemente un dolore al ginocchio, e restare concentrati sulla postura, la respirazione. Il dolore persiste ma è un fenomeno locale. E’ molto diverso dall’iniziare a lottare contro il dolore.
D : Sono oramai 2500 anni che la gente pratica zazen, ma dal punto di vista della sofferenza, non c’è molta evoluzione.
R : Questo permette di essere più ricettivi verso la sofferenza, di sviluppare un maggiore spirito di compassione. Non dovete credere che la vostra pratica di zazen è limitata. Anche se una sola persona fa zazen, questo ha una influenza invisibile. Si è uniti a tutte le esistenze dell’universo. Voi avete anche la vostra vita quotidiana, sociale, professionale, la vostra famiglia. E’ certo che se praticate zazen, avrete una vita più generosa, più compassionevole, e questo non può avere che un effetto benefico.
D : Pensate che praticando zazen si possano risolvere tutti i problemi ?
R : No, ma non vedo nulla di meglio da fare. E’ importante dare agli altri i mezzi per aiutarsi da soli. Lo zen non dà soluzioni, non è una ideologia, ma deve permettere alla gente di non restare bloccata in vicoli ciechi. Sensei (maestro Deshimaru) diceva che lo zen è la Via senza impasse.
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