Il primo dei Grandi Voti del Bodhisattva

Teisho di Roland Yuno Rech - Maredsous, luglio 2007

Il primo dei Quattro Voti del bodhisattva è Shujo muhen seigando:
« Per numerosi che siano gli esseri sensibili faccio il voto di salvarli tutti ».

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Shujo : gli esseri sensibili, sono tutti gli esseri che trasmigrano nei sei mondi di trasmigrazione. Secondo la cosmologia buddhista sono gli esseri che vivono nell’inferno, gli spiriti famelici – i gaki ai quali offriamo il pane a mezzogiorno-, gli animali, gli esseri umani, gli asura – dei conbattenti – e i deva – divinità- i quali hanno un’esistenza impermanente e sono nel samsara. Ogni essere che vive in questi sei mondi vi ci si trova in seguito al proprio karma e per una durata limitata.

Nel buddhismo quando si parla di salvare tutti gli esseri significa salvarli dalla necessità di rinascere in uno di questi sei mondi, dunque aiutarli a realizzare il nirvana che è l’estinzione delle cause di rinascita nel samsara, il mondo della nascita, malattia, vecchiaia, morte, e di tutti i tipi di sofferenza e di insoddisfazione legati al carattere impermanente e limitato dell’esistenza. Il bodhisattva, facendo questo voto, si obbliga a restare nel samsara per stare con gli esseri sensibili fino a che più nessuno trasmigra in questi sei mondi. Questo sembra volere dire che il bodhisattva rinuncia al suo risveglio, almeno alla liberazione dal samsara, per un tempo probabilmente infinitamente lungo. Questo voto sembra una rinuncia. Ma è un voto di compassione per tutti gli esseri e di rinuncia al desiderio egoistico di essere salvo il più presto possibile. E in fondo, il fatto di fare profondamente questo voto e di accettarlo, implica l’essere già risvegliato e liberato.

Vi chiederete se potrete pronunciare questi voti di bodhisattva alla fine della sesshin visto che per alcuni di voi sarà così ! Perché quando si guarda dentro di sé si vede che non si è così dotati di tale compassione infinita. La nostra compassione è purtroppo limitata…
Bisogna fare la differenza tra l’ordinazione di bodhisattva e un bodhisattva compiuto. Quando parliamo di ordinazione di bodhisattva intendiamo il pronunciare i voti che sono il senso della nostra pratica. Significa che si ha fede e fiducia in questo significato della pratica e che è in tale direzione che ci si vuole impegnare a praticare, con i limiti della nostra condizione attuale.
Se riflettendo sul nostro voto lo facciamo senza rimpianto, senza l’impressione di sacrificarci, allora siamo già nello stato d’animo di un essere risvegliato e liberato anche se il nostro karma, i nostri condizionamanti ordinari, ritornano nella vita quotidiana e ci si rende conto che non si è sempre all’altezza dei voti. Se tuttavia lo facciamo ugulamente è pur sempre un’espressione del risveglio e della liberazione. Il bodhisattva non ha tuttavia attaccamento al samsara a causa della saggezza che gli permette di vederne i limiti e l’urgenza di liberarsene. Attraverso la saggezza, - saggezza e compassione sono allo stesso livello per il bodhisattva,- comprende che bisogna liberarsene, e attraverso la compassione accetta di rimanere (nel samsara) per aiutare gli esseri.

Per il Maestro Dogen l’ideale e la pratica del bodhisattva non sono una tappa sul cammino per diventare buddha. Tradizionalmente nel buddhismo si descrive la pratica del bodhisattva con dieci livelli e l’ultima tappa, il punto ultimo del suo cammino nelle « Dieci Terre », è lo stato di samyaku sambodai : un buddha perfetto, onniscente nella visione. Ma nell’insegnamento del Maestro Dogen fare questo voto è già la realizzazione del risveglio perfetto e non una tappa provvisoria ; è l’espressione della nostra natura di buddha. Se si può pronunciare tale voto è perché si è già realizzata la propria natura di buddha. La natura di buddha non è un ideale da raggiungere in un lontano futuro, ma la base stessa della nostra esistenza in totale interdipendenza con tutti gli esseri, in ogni istante della nostra vita. Questa è la natura di buddha. Ciò implica il sentirsi solidali con tutti gli esseri coi quali siamo totalmente interdipendenti, cosa che non è così evidente. E’ pur tuttavia la vera natura della nostra esistenza e capirlo è la saggezza fondamentale.

Armonizzarsi con tale visione facendo il voto di campassione universale implica una conversione dello spirito per essere coerenti con ciò che abbiamo compreso dell’essenza della nostra esistenza reale : la nostra natura di buddha. Per questo, studiate le diverse pratiche del bodhisattva negli atelier sulle sei paramita. Tutta la pratica del Dharma di Buddha consiste nel metterci in sintonia con ciò che siamo in realtà, in particolare con la pratica del dono, della pazienza, dei precetti, dell’energia, della meditazione e della saggezza. Sono l’espressione della natura di buddha e al tempo stesso dei mezzi per attualizzarla. Questo punto è importante perché se sono solo dei mezzi, si funziona nello sforzo e nella dulaità, ma se si comprendono tali pratiche come l’espressione di ciò che siamo, allora questo diventa la fede nella natura di buddha, diventa qualcosa di più evidente e di più naturale, che si approfondisce e che è più facile da praticare.

Riguardo all’immensità del voto di bodhisattva è importante capire che in realtà non c’è nessun essere da salvare. Questo è l’insegnamento profondo del Sutra del Diamante. Nell’insegnamento del Buddhismo ci sono delle cose paradossali ma tali paradossi hanno un effeto liberatorio. Se non si capisce che non vi è nessun essere da salvare, si può avvertire un profondo senso di colpevezza, cosa che disturba la nostra equanimità, perché il compito immenso e quasi senza fine di salvare tutti gli esseri è una fonte di sofferenza per il bodhisattva. Un bodhisattva non soffre più a causa del suo ego ma per compassione. Per alleviare la sofferenza da empatia, il bodhisattva ha bisogno in qualche modo della sua saggezza. Si ricorda che a causa del non-ego, della vacuità, non c’è essere, non c’è ego da salvare. Tutti gli esseri sono già salvi o liberi perché sono vacuità, sono senza ego.

L’ultimo punto importante di questo grande voto del bodhisattva è che in realtà non si può salvare nessun essere. Questo è il secondo paradosso, che è liberatorio quanto il primo. Gli esseri infatti possono essere liberati solo dalla loro propria natura di buddha e dalla loro stessa pratica che li mette in contatto con la natura di buddha stessa. Il voto di salvare tutti gli esseri non è quindi un voto grandioso di onnipotenza che consista nel volere salvare tutti. E’ invece il voto di mettere gli esseri sulla via di essere salvati dalla loro stessa natura di buddha e questo attraverso tutti i mezzi abili di cui si dispone.

Altri punti sono interessanti. Per esempio, un bodhisattva deve potere assumere tutti gli aspetti per compiere il suo grande voto ; assumere l’aspetto adeguato per entrare in contatto con la categoria di persone che è portato ad aiutare in quel momento.

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Ecco la storia di Kannon travestita da pescivendola. Un giorno, una graziosa ragazza è andata al villaggio a vendere del pesce. Gli uomini del villaggio la hanno corteggiata e lei ha promesso di sposarsi con l’uomo che avrebbe imparato l’Hannya Shingyo entro l’indomani. Il giorno dopo una decina l’aveva imparata. Lei allora promette di sposarsi con chi avrebbe imparato il Sutra del Diamante. Il giorno dopo due o tre lo conoscevano a memoria. Lei promette allora di sposarsi con chi avrebbe saputo a memoria il Sutra del Loto. Il giorno dopo un giovane ragazzo lo sapeva e lei lo ha sposato. Poi lei si ammalò, e suo marito le promise che non la avrebbe mai dimenticata. La notte seguente lei appare in sogno al marito affranto e gli svela che lei è il Bodhisattva della compassione, Kannon, e gli dice : « Se vuoi veramente ricordarti di me, come hai promesso, visto che hai imparato tutti i sutra, predica ora il Dharma e aiuta gli esseri con l’insegnamento del Buddha». Questo è un esempio classico della facoltà del bodhisattva di apparire sotto diverse forme compresa la forma di una giovane ragazza seducente che induce gli uomini del villaggio ad imparare i sutra attraverso i suoi mezzi abili. Ecco delle idee per tutti voi !

Per ritornare al pimo voto del bodhisattva, vorrei fare un collegamento con shin jin datsu raku : "spogliare corpo e mente da ogni attaccamento egoista durante zazen". Keizan dice : « E’ mostrare il proprio volto originale, rivelare gli aspetti della propria condizione originaria ; corpo e spirito abbandonati, spogliati, liberi, che si sia seduti, distesi o in ogni altra postura ».
Spesso si dice che nello zen non si insiste abbastanza sull’amore, sulla compassione. Per alcuni questo è un problema. Credo che la compassione sia del tutto fondamentale nella nostra pratica. Se non si è spinti dallo spirito di compassione e di benevolenza verso tutti gli esseri la nostra pratica meditativa può anche diventare pericolosa perché può rinforzare il potere egoistico e pervertire il senso della pratica stessa. Per esempio, i praticanti di arti marziali vogliono meditare per potere essere più forti, meglio concentrati e per combattere meglio l’avversario ; è un esempio un po’ estremo ma c’è gente che fa zazen per questo. A volte anche nel nostro sangha si vedono persone che hanno la tendenza ad indurirsi con la pratica. Significa forse che si confonde distacco e indifferenza, per esempio.

C’è una seconda serie di questioni : alcuni sono assolutamente d’accordo sul lasciare andare i loro attaccamenti durante zazen ma non sono più d’accordo sul fare la stessa cosa nella vita quotidiana. Allora zazen è una parentesi : « in zazen d’accordo, ma dopo, no ! » Il Maestro Nyojo, che fu il maestro di Dogen, parla di certi buddhisti che praticano la meditazione seduta, quindi lo zazen, ma la cui compassione è debole. « Essi non penetrano il vero carattere delle cose con una comprensione profonda. E così perfezionano solo loro stessi, e interrompono la linea dei buddha ». Dunque il loro zazen non è il vero zazen di Buddha. Egli insiste dicendo : « Quello che voglio dire è che i buddha e i patriarchi, fin dalle prime inspirazioni, si siedono in zazen con il voto di riunire tutte le qualità del risveglio e anche dello stato di Buddha, ma che nel loro zazen non dimenticano gli esseri sensibili : hanno sempre pensieri di amore e di compassione per tutti gli esseri, anche per gli insetti, non solo per gli esseri umani. E quindi fanno il voto di salvarli tutti ; e qualsiasi sia il merito della loro pratica, lo dedicano a tutti gli esseri ». Allora, siccome il Maestro Dogen cita questo insegnamento del Maestro Nyojo, e che Dogen è l’ispiratore della pratica che seguiamo, lo ho voluto citare come una sorta di autorità per confermare l’importanza primordiale della compassione nella nostra pratica. Questo non significa che se si pratica zazen si sia naturalmente molto compassionevoli, perché c’è ogni sorta di ostacolo nel nostro karma, nella nostra esistenza all’espressione di tale compassione. Ma almeno, se si fa questo voto di compassione e se si considera che è il criterio della pratica giusta, allora ci si può osservare e vedere dove sono gli ostacoli interiori all’espressione della compassione. Quando questo accade, quando non ci si sente veramente molto compassionevoli, ci si può chiedere perché sia così in quel momento, come un koan ; non per colpevolizzarsi, ma solo per avere un segnale che ci indica che, ecco, accade qualcosa e che si dovrebbe solo guardare ciò che accade.

Vorrei parlarvi ora dei mezzi per stimolare lo spirito di compassione e di benevolenza. Io credo che l’essere umano sia fondamentalmente compassionevole e benevolo. Non perché io sia un gran idealista, ma perché se al fondo di ciascuno di noi non ci fosse questa empatia, questa capacità di mettersi al posto dell’altro e quindi di evitare di fare soffrire, l’umanità sarebbe scomparsa da tempo. Se l’umanità, e ancor di più ora con la sovrapopolazione, continua a crescere, anche se ci sono evidentemente dei conflitti, delle guerre, dei massacri ; tuttavia, non si può dire che i conflitti aumentano : negli ultimi dieci anni sono piuttosto diminuiti ; comunque, se l’umanità continua a svilupparsi significa che in fondo agli esseri umani c’è la capacità dell’empatia. Altrimenti ci si sarebbe già distrutti reciprocamente da molto tempo.
Come sviluppare allora questa empatia, se non alla perfezione, almeno fino al punto in cui faccia cambiare profondamente le relazioni umane ?
Inoltre, perché non è evidente che noi siamo fondamentalmente degli esseri benevoli e compassionevoli ? Perché, in fondo, la natura di Buddha in noi non ci ispira di più ? Credo che sia perché abbiamo preso una cantonata, siamo in errore. Lo ho già detto a più riprese : ci identifichiamo ad una idea erronea su noi stessi. Ci identifichiamo al nostro piccolo ego, alla nostra storia, alle nostre preferenze, e finiamo per dirci « io, sono uno così o colà ». Si finisce col crederci. Si costruisce una certa identità personale e ci si attacca ad essa. Se ne fa eventualmente una sorta di carapace, una armatura ; si considera che tutto ciò che può minacciare l’immagine che si ha di sé sia dannoso, sia nostro nemico, che bisogna difendersi da ciò che minaccia questa immagine. In senso inverso, si diventa avidi di tutto ciò che può aumentare tale immagine che abbiamo di noi ; aumentare il proprio potere, il prestigio, l’importanza, ecc. Allora è per questo motivo che quando Dogen, Nyojo prima di lui e poi Keizan parlano di spogliarsi, di mollare la presa, di abbandonare l’attaccamento al corpo e allo spirito durante zazen, - cioé a una certa rappresentazione che abbiamo del nostro corpo e spirito, colorata dal nostro karma, alle idee che ci facciamo su noi stessi, che alla fine ci portano a vederci come un essere limitato, - cioé per potere abbandonare tutto ciò, la pratica di zazen è veramente una pratica estremamente potente ; ma ancora bisogna essere convinti che sia bene abbandonare questo ego che è una cantonata, una idea limitata di sé.

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La cosa migliore allora è provare per vedere. Per esempio, quando si è in un gruppo, se ci si arrocca sulla propria posizione, molto spesso si vede come alla fine tutti si irrigidiscono, diventano aggressivi e si entra in una sorta di competizione, come tutte le coaugulazioni mentali degli uni e degli altri si rinfirzano e si oppongono, e come se qualcuno cambia direzione e lascia perdere la sua posizione, come d’un sol colpo tutti sono sorpresi e qualcuno si chiede : « già, perché no, perché non lasciare perdere ? »
Credo molto nella virtù di iniziare a osare di lasciar perdere. Non solo in zazen, ma anche nella vita quotidiana. Per questo però bisogna ancora capire che questo lasciar perdere non è un danneggiamento, né un sacrificio. Al riguardo bisogna precisare qualcosa sui desideri : nell’insegnamento del Buddha si parla spesso di abbandonare i desideri. Ma il desiderio è la vita, senza desiderio non saremmo qui. Allora si è un po’ diffidenti quando si sente dire che bisogna abbandonare i desideri. Quando per esempio, il Maestro Nyojo spiega a Dogen cosa significhi spogliarsi di corpo e spirito in zazen, bisogna capire che parla di abbandonare i cinque desideri e i cinque ostacoli. Evidentemente si tratta di abbandonare gli ostacoli alla meditazione. Tradizionalmente, i Cinque Ostacoli alla meditazione, o i Cinque Impedimenti sono i desideri, l’odio, il torpore, l’agitazione (o i rimorsi) e il bubbio. Per esempio, se durante zazen si è ossessionati dal sesso, con delle fantasie che ci girano per la testa, dei fantasmi, se si aspetta con impazienza la fine di zazen per avvicinarsi alla persona che si desidera, tutto ciò rende la pratica molto, molto difficile. Questo è un vero ostacolo. Allo stesso modo, se durante zazen si prova della collera, per esempio per essere stati criticati o lesi, e che se ne vuole veramente a qualcuno, se si è veramente astiosi, se si cogita la maniera di vendicarsi, è chiaro che questo diventa un vero veleno che ci rode nella pratica, ed è per questo che si parla di ostacolo. Si può proprio sperimentare. Lo stesso vale per il torpore, per l’agitazione e i rimorsi. Avere dei rimorsi porta ad avercela con sé, dunque a odiarsi. Avere dei dubbi, non è dubitare del proprio ego (a volte è bene dubitare di se stessi, di rimettersi in questione) ma dubitare della pratica e dell’insegnamento. Se si fa qualcosa e nello stesso tempo si dubita di ciò che si sta facendo, non ci si può impegnare veramente.

E’ chiaro che questi Cinque Ostacoli sono dei veri ostacoli alla pratica della meditazione, dunque è raccomandabile lascairli andare. Ma nello stesso tempo se si riflette, si vede bene che sono anche degli ostacoli alla compassione e alla benevolenza. Per esempio, se si è ossessionati dal sesso, è chiaro che l’altro ha tendenza a diventare per noi un oggetto di soddisfazione. Nella migliore delle ipotesi tale soddisfazione potrà essere condivisa, cosa che è bene, ma in generale nel lato avido dell’ossessione sessuale c’è una certa tendenza a ridurre l’altro ad esistere solo nella dimensione di oggetto di piacere. Per esempio, se l’altro parter dice : « ho mal di testa, non mi va, aspetta un altro giorno », si ha la tendenza ad andare il collera, a non essere contenti perché si è frustrati nel proprio desiderio. A questo punto ci si può iniziare a chiede se si ama veramente o se si desidera l’altro solo come oggetto di piacere. E’ la stessa cosa per gli altri ostacoli : la collera evidentemente va in direzione totalmente opposta alla compassione. D’altronde, uno dei rimedi alla collera è, nel momento che la si prova, fare sorgere in noi lo spirito empatico : si è in collera contro qualcuno e ci si fissa sulla propria posizione, per noi ciò che l’altro ha fatto è inaccettabile. Ma se ci si mette al suo posto, forse già questo attenua la collera. A quel punto, essendo diminuita la collera, si può eventualmente trovare il modo abile di risolvere la situazione che ha provocato la nostra collera. Ma la collera può anche essere assolutamente giustificata : da una ingiustizia o qualcosa di erroneo commesso dall’altro. Ad ogni modo, finché si è sotto l’effetto della collera non si può risolvere convenientemente una situazione.

Nella vita quotidiana evidentemente è un po’ diverso che in zazen. Le raccomandazioni fatte dal Buddha e da Nyojo ai monaci si rivolgevano evidentemente a degli esseri che avevano fatto il voto di abbandonare tutto per andare a vivere in un monastero, e quindi per esempio di abbandonare ogni relazione sessuale. E’ chiaro che per dei monaci che hanno fatto il voto di castità è fondamentale non perturbare lo spirito nutrendo dei desideri sessuali. Ma nel buddhismo zen da un secolo e mezzo, non si fa più questo voto, quindi la questione è un po’ diversa. La questione è : come vivere questi desideri sessuali in modo che non generino intorno a noi della sofferenza, e che invece possano contribuire a sviluppare lo spirito del risveglio ? E’ del tutto possibile e questo dà alla sessualità una dimensione ben oltre la semplice soddisfazione delle pulsioni elementari che abbiamo. Significa legare al desiderio che si prova per l’altro il desiderio di contribuire alla sua elevazione spirituale, al suo risveglio. Chi dice : « io voglio abbandonare i miei desideri solo in zazen », generalmente pensa soprattutto all’aspetto della sessualità. Ma bisogna comprendere che nello zen, il senso della nostra pratica nella vita quotidiana, è l’abbandono del carattere negativo dei nostri desideri, cioé quello che nei nostri desideri porta alla sofferenza. Al contrario, lo scopo è di fare in modo che i nostri desideri contribuiscano a bodai shin, allo spirito del risveglio. Per questo è richiesta molta saggezza e imparare a conoscere se stessi in modo sufficiente da sviluppare l’empatia verso gli altri ; perché un aspetto fondamentale della compassione è di trattare gli altri come vorremmmo essere trattati noi. Per questo è necessario sviluppare la propria sensibilità, capire come vorremmo essere trattati e evitare di accamparci su una posizione, ma invece essere capaci di fare l’andirivieni tra la nostra posizione e la posizione altrui, in modo fluido. Credo che zazen, con questa pratica di lasciare andare, di mollare la presa, di non fissarsi su un’ossessione, ammorbidisca il nostro spirito e lo rende più idoneo all’allenamento di passare dalla propria posizione alla posizione dell’altro e viceversa. Nel buddhismo tantrico ci sono delle pratiche sistematiche di mettersi al posto dell’altro. Ritengo che tra i mezzi abili del buddhismo questo sia un mezzo estremamente interessante. E anche se non lo si pratica in zazen, è bene praticarlo nella vita quotidiana. E’ molto semplice : siete al bar e state discutendo con qualcuno, e quello che l’altro vi raccolta sembra strano, non siete d’accordo, ecc. e di colpo vi dite « ebbene, OK, lascio perdere il mio punto di vista, cerco di mettermi al suo posto ». Provate per vedere. In quel momento il bar diventa un ottimo luogo di pratica ; cioé un luogo dove giustamente si incontra gente molto liberamente e senza formalismo, senza un ruolo definito, senza una posizione speciale – a parte la responsabile del bar che fa pagare le consumazioni. Ci si ritrova con gli altri in una posizione del tutto similare, uguale, e si può veramente cercare di praticare questo scambio.

 

Tags: Roland Yuno Rech

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